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26 Aprile 2025
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Ricchezza e territorio, un binomio tutto italiano

Ogni tanto, quando ho bisogno di staccare dal flusso lavorativo, mi concedo il lusso di andare a spulciare i dati. Ma non quelli da commercialista, intendiamoci. Parlo di quei numeri che raccontano storie, che aprono finestre sulla realtà del nostro Paese – numeri capaci di fare più luce di tante analisi sociologiche. Ed è proprio questo il caso della classifica 2024 dei comuni più ricchi d’Italia, pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF): uno spaccato sociale prima ancora che economico, uno specchio in cui l’Italia si riflette, mostrando le sue luci e – purtroppo – le sue ombre.

Capire dove si concentra la ricchezza, che tipo di territori attraggono (o trattengono) cittadini ad alto reddito, è più che una curiosità. È uno strumento per interpretare le dinamiche di sviluppo, per prevedere delle tendenze, per orientare le politiche pubbliche e gli investimenti privati. In sostanza, è un modo per capire – con i piedi ben piantati a terra – dove va l’Italia che corre. E dove, invece, arranca.

I numeri parlano chiaro: Milano, con un reddito medio imponibile pari a circa 36.000 euro annui, domina tra le grandi città. Ma non è solo questione di metropoli: in cima alla classifica troviamo numerosi piccoli comuni, spesso noti per essere veri e propri “paradisi patrimoniali residenziali”, dove il numero contenuto di abitanti e la presenza di una fascia di altissimo reddito spingono le medie verso l’alto in maniera vertiginosa.

Subito dopo Milano troviamo Parma e Padova, entrambe sopra quota 28.500 euro. Seguono Bologna, Modena e Roma, che chiudono il gruppo delle città capoluogo con una media superiore ai 28.000 euro. Un dato interessante, questo, che ridisegna un po’ la mappa dei centri economicamente più dinamici, ponendo l’accento sull’asse emiliano – lombardo – veneto come motore fiscale del Paese. Ecco alcuni dati significativi:

  • Milano – € 35.962
  • Parma – € 28.641
  • Padova – € 28.588
  • Bologna – € 28.383
  • Modena – € 28.140
  • Roma – € 28.064

Un aspetto che balza all’occhio è l’assenza, nelle primissime posizioni, di città del Sud o del Centro (con l’eccezione parziale di Roma). Certo non è una novità, ma è un elemento che andrebbe interpretato anche in termini di equilibrio economico nazionale.

Una delle peculiarità di questa classifica è che i comuni più performanti, per reddito medio imponibile, sono spesso quelli meno popolati. Succede perché bastano poche centinaia – talvolta poche decine – di dichiarazioni di redditi elevatissimi per innalzare drasticamente la media. Succede anche che questi comuni siano scelti come residenza fiscale da imprenditori, liberi professionisti e manager che non necessariamente vi abitano stabilmente, ma che lì fissano la residenza per ragioni più che legittime, talvolta anche strategiche.

In questo senso, comuni come Basiglio (MI) o Cusago (MI) sono emblematici: piccoli, tranquilli, ben collegati alle grandi città e con un’offerta residenziale di livello alto o altissimo. Ma il punto è un altro: il reddito medio non sempre rappresenta il tenore di vita medio. È un indicatore utile, ma va letto insieme ad altri parametri – come l’indice di Gini, la distribuzione dei redditi, o i dati sull’occupazione locale – per restituire un quadro davvero completo.

Milano non sorprende! Con il suo ecosistema di finanza, moda, innovazione e servizi avanzati, è la città italiana dove si concentra il maggior numero di professioni ad alto valore aggiunto. Ma è tutto il Nord a dominare la classifica. E questo ci dice molto di come le infrastrutture, la cultura imprenditoriale e l’attrattività del territorio possano influenzare le performance economiche locali.

Dalla Lombardia all’Emilia-Romagna, passando per il Veneto, l’Italia settentrionale si conferma area trainante sotto il profilo fiscale. Un dato, questo, che si riflette anche nella qualità dei servizi, nell’offerta culturale, nella capacità di attrarre capitali e competenze. E non è questione solo di geografia e di vicinanza all’Europa: è frutto di decenni di politiche, investimenti, reti relazionali e di una certa visione del futuro.

E poi c’è il Sud! Un Sud che arranca, che continua a segnare il passo rispetto al resto del Paese. Nella classifica dei redditi medi imponibili, i comuni del Mezzogiorno occupano stabilmente la parte bassa, con medie inferiori ai 20.000 euro annui. È il segnale di una disparità strutturale che, sebbene conosciuta, resta ancora drammaticamente attuale.

Il problema non è solo la carenza di imprese strutturate o l’emigrazione di massa dei giovani talenti. È anche la mancanza cronica di politiche fiscali e industriali mirate, di investimenti pubblici a lungo termine, di visione strategica.
Insomma, la “questione meridionale” non è affatto archiviata!

Parliamo un attimo del dato tecnico. Il reddito medio imponibile è il reddito dichiarato su cui si calcolano le imposte. Non è il reddito disponibile, né tanto meno quello reale. È un indicatore, e come tale va contestualizzato. Spesso è influenzato da pochi contribuenti molto facoltosi, mentre la maggioranza della popolazione vive su livelli ben diversi.

Eppure, è un dato che conta. Perché incide sulle risorse disponibili per i comuni, sulle scelte di bilancio, sulla pianificazione urbana. Influenza i servizi, le scuole, i trasporti. E dice molto di come si muove l’economia locale, quali settori trainano e quali vanno sostenuti.

Chiudiamo il cerchio. Perché questo tema non è solo per tecnici, analisti o amministratori. Riguarda chiunque vive, lavora, investe in Italia. Se sei un imprenditore e stai cercando dove aprire una nuova sede, sapere quali territori sono più “liquidi” può fare la differenza. Se sei un cittadino, sapere dove il comune ha margini di bilancio più ampi può significare avere accesso a servizi migliori.

E poi c’è il discorso politico. Un Paese che ha aree cronicamente in affanno ha bisogno di strategie redistributive intelligenti, non di slogan! Ha bisogno di politiche che incentivino lo sviluppo dal basso, senza una pioggia di bonus estemporanei.

La fotografia scattata dal MEF non è sorprendente, ma è nitida. L’Italia corre a due velocità, e la forbice non sembra destinata a chiudersi da sola. Ma se c’è una cosa che questi numeri ci insegnano è che il cambiamento è possibile. Serve visione, serve coraggio, serve anche una certa ostinazione. Perché i divari si colmano non con le dichiarazioni d’intenti, ma con strategie coordinate, investimenti intelligenti, ed un uso accorto – e responsabile – dei dati.

Alla fine dei conti, la ricchezza è un moltiplicatore. Dove c’è, va gestita. Dove manca, va coltivata. In entrambi i casi, serve capacità. E quella, per fortuna, in Italia, non manca, sta solo aspettando il contesto giusto per esprimersi.

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