Se ripenso agli anni ’90, mi basta sentire un “Marco” o una “Martina” per essere catapultato in cortili pieni di Game Boy e zaini Invicta. Era un’epoca in cui i nomi raccontavano appartenenze silenziose. E sì, proprio come certi profumi o certe canzoni, anche i nomi possono far vibrare corde profonde della memoria.
Negli anni ’90, i nomi erano una certezza. Andrea, Marco, Martina, Alessia: monoliti familiari che scandivano la vita sociale dei bambini e degli adolescenti. In quegli anni, organizzare una festa di compleanno voleva dire saper gestire almeno tre “Andrea” e due “Martina” senza creare incidenti diplomatici.
Lo dicono i dati ISTAT: “Andrea” e “Martina” dominavano le classifiche, incarnando il desiderio di modernità ma anche una certa rassicurante semplicità. Non erano scelte azzardate, né frutto di mode effimere: erano nomi che promettevano stabilità, affidabilità, un futuro “ben piantato“.
In un’Italia che si affacciava al nuovo millennio tra entusiasmo e incertezze, i nomi di quei bambini sembravano voler rassicurare più i genitori che i figli.
Oggi, sfogliando la Top Ten dei nomi più scelti, il panorama è radicalmente diverso. Leonardo, Sofia, Aurora, Ginevra sono nomi più lunghi, più melodici, spesso associati a personaggi storici o letterari.
Il cambiamento è evidente non solo nelle classifiche, ma nell’immaginario collettivo. Se negli anni ’90 dominavano la praticità e l’universalità, oggi prevale la ricerca dell’unicità, del suono armonioso, di una certa aura narrativa. Un cambio di paradigma che riflette anche l’evoluzione culturale e il bisogno crescente di “distinguersi” fin dalla culla.
Emblematico il caso di “Andrea“, passato dal primo al decimo posto, mentre nomi come “Leonardo” o “Sofia” sembrano incarnare una nuova estetica del nome: evocativa, internazionale, con un retrogusto di classicità rivisitata.
Prendiamo “Marco” e. non perché oggi, 25 aprile, ne ricorre l’onomastico, nel 1999, era una certezza, come la Girella a merenda. Oggi, è sceso sotto le 1.500 registrazioni annue. Un declino che racconta molto più di un semplice cambio di gusto, è la fotografia di una società che cambia riferimenti, icone, immaginari.
Stessa sorte per “Simone” e “Matteo“, un tempo protagonisti delle liste di battesimo e oggi relegati ai margini delle classifiche. “Matteo“, che nel ’99 registrava 8.703 bambini, oggi non raggiunge nemmeno i 3.000.
È come se certi nomi, un tempo sinonimo di normalità, fossero stati sostituiti da nuove narrazioni. E forse, nel marasma di un mondo sempre più complesso, il bisogno di unicità ha preso il sopravvento su quello di appartenenza.
Se per i maschi il cambiamento è stato drastico, per le femmine si può parlare di vera e propria rivoluzione.
A parte l’inarrestabile “Giulia“, che mantiene saldo il terzo posto in entrambe le epoche, tutte le altre icone femminili degli anni ’90 sono ormai ai margini.
“Martina“, “Alessia“, “Federica“: nomi che allora evocavano freschezza e modernità, oggi suonano quasi “nostalgici“. “Martina” è passata da quasi 9.000 registrazioni a meno di 2.000. “Alessia” è sprofondata sotto quota 900. “Federica“, che ancora nel 2005 resisteva bene, oggi è una rarità.
Eppure, dietro a questi numeri, c’è una verità che resta intatta: ogni generazione, scegliendo i nomi per i propri figli, costruisce inconsapevolmente un pezzo della propria identità collettiva.
Per capire perché i nomi cambiano, dobbiamo guardare oltre le mode superficiali. Oggi, più che mai, i genitori cercano nomi che “parlino” di qualcosa: un viaggio, un libro, una serie TV, una storia familiare. C’è un ritorno alla tradizione, ma reinterpretata in chiave moderna.
Non solo: viviamo in un’epoca di iperconnessione globale. I nomi devono suonare bene anche in inglese, francese, spagnolo. Devono essere facilmente pronosticabili (e possibilmente digitabili senza errori), compatibili con un futuro internazionale.
In questo senso, la scelta del nome diventa quasi un atto di branding personale: scegliere un “Leonardo” o una “Aurora” non è solo scegliere un bel nome, ma investire in un’immagine, in una narrazione potenziale, in un account Tik Tok.
Oggi i trend vedono spopolare nomi come Ginevra, Aurora, Beatrice per le femmine e Leonardo, Edoardo, Tommaso per i maschi.
E stanno emergendo anche nomi nuovi, più brevi e incisivi: Nina, Enea, Luna, Liam, piccoli gioielli fonetici che catturano l’orecchio e promettono unicità.
Un fenomeno curioso? Il ritorno, in chiave rivisitata, di nomi antichi: Ettore, Ada, Cesare. Come se, nel rumore assordante della modernità, si cercasse un ancora solida a cui aggrapparsi.
Confesso che per me, certi nomi non passeranno mai di moda. “Marco“, “Martina“, “Davide“, “Alessia“… suonano ancora autentici, pieni, rotondi. Sono nomi che raccontano storie vere, fatte di cortili polverosi, di amicizie nate tra i banchi, di sogni semplici ma tenaci.
Non mi stupirei se tra qualche anno questi nomi venissero riscoperti come “vintage“, con quell’aura nostalgica che oggi circonda il vinile o le Polaroid.
D’altronde, la storia è ciclica e per nomi, come per i jeans a vita alta, certe cose non tramontano mai per davvero.
In fondo, scegliere un nome è come scattare una fotografia: un gesto semplice che, a distanza di anni, racconta un mondo intero. I nomi mutano, si reinventano, si alternano come le stagioni.
Ma quelli veri, quelli che hanno vissuto nelle voci di milioni di persone, non scompaiono mai del tutto. Restano sospesi, in attesa di essere scelti di nuovo da chi, forse inconsapevolmente, cerca nei suoni di un nome il profumo di una memoria collettiva.
E allora vi chiedo: quale nome degli anni ’90, oggi dimenticato, riportereste alla ribalta senza pensarci due volte?