Una volta in bagno si leggeva qualche rivista, magari un quotidiano. In mancanza d’altro, ci si accontentava delle etichette dello shampoo o della lista ingredienti del bagnoschiuma. Oggi, invece, bastano due tap sullo smartphone per trasformare la pausa toilette in un’ulteriore sessione di consumo digitale. Social, video, email, meme, messaggi vocali… e il tempo vola.
Uno studio dell’Acıbadem University di Istanbul ha rilevato che quasi il 70% degli studenti utilizza lo smartphone in bagno, e più di uno su quattro ci resta oltre 10 minuti. Ma la verità è che molti ci passano anche più tempo – anche solo per completare un reel diventato improvvisamente troppo interessante per essere interrotto.
E qui arriva il punto: non è solo una questione di tempo. Ci sono implicazioni fisiche, posturali, psicologiche e sociali che dovremmo iniziare a considerare con un po’ più di attenzione.
Emorroidi in agguato, possono essere il costo nascosto dell’intrattenimento da toilette? No, non è solo una frase provocatoria. Usare lo smartphone sul WC può realmente aumentare il rischio di sviluppare – o aggravare – le emorroidi. Lo ha dimostrato uno studio dell’Università Yeni Yüzyıl e della Van Yüzüncü Yıl, pubblicato sul Turkish Journal of Colorectal Disease. La dinamica è semplice, quanto insidiosa: più tempo restiamo seduti in quella posizione, maggiore è la pressione nella zona ano-rettale, con conseguente difficoltà nel ritorno venoso. Il ristagno del sangue causa la dilatazione delle vene anali, che – se reiterata nel tempo – può sfociare in infiammazioni, dolore, sanguinamenti e fastidi tutt’altro che trascurabili.
Sembra banale, ma il problema è reale. E se stai pensando “a me non succede”, beh… sei ancora in tempo per prevenirlo.
Chiunque abbia una minima familiarità con l’ergonomia sa che ogni posizione seduta andrebbe gestita con attenzione. Ma quella sul WC, con la testa china sullo schermo e le spalle curve, è tra le peggiori posture possibili. Un vero e proprio piccolo disastro biomeccanico.
Secondo una ricerca della Southern Medical University di Guangzhou, questa postura aumenta lo stress sulla zona cervicale e sulla colonna lombare in modo significativo, provocando tensioni muscolari, affaticamento, e – col tempo – dolore cronico. E se già durante la giornata ci passiamo ore su una sedia o davanti a un monitor, è evidente che anche quei minuti extra diventano deleteri per il nostro assetto muscolo-scheletrico.
Ma c’è di più. Il bagno è diventato anche una “zona franca” relazionale, un luogo dove rifugiarsi, staccare, isolarsi. E se da un lato questo può sembrare un’esigenza legittima (chi non ha bisogno di un momento tutto per sé?), dall’altro rischia di alimentare forme sottili di disconnessione emotiva, soprattutto in ambito domestico.
Il termine tecnico è phubbing – ignorare le persone accanto per immergersi nello smartphone. E no, non è solo una tendenza adolescenziale: è un meccanismo trasversale, che attraversa fasce d’età, ruoli familiari e abitudini quotidiane. Studi come quello di Anshari et al. (2016), pubblicato su Computers in Human Behavior, evidenziano come l’uso del bagno come “scusa digitale” sia ormai normalizzato, ma abbia un impatto negativo sulla comunicazione, sull’empatia e sulla qualità delle relazioni.
Se ti è mai capitato di dire “Vado un attimo in bagno…” e poi restare mezz’ora a scrollare Instagram, beh… sai esattamente di cosa sto parlando.
Qui non si tratta di demonizzare la tecnologia – sarebbe ipocrita. Si tratta di riconoscere quando un’abitudine diventa automatismo, e quando l’automatismo comincia a sottrarre qualcosa alla nostra salute o al nostro benessere relazionale.
E allora? Serve una piccola azione di “detox comportamentale”. Qualcosa di sostenibile, concreto, realistico. Ti lascio qualche spunto pratico che ho testato su me stesso (e che, credimi, funziona più di quanto pensassi):
- stabilisci un tempo limite consapevole: 5 minuti. Non un secondo di più;
- lascia lo smartphone fuori dalla porta: almeno ogni tanto. Serve più al cervello che al corpo;
- riscopri la lettura “analogica”: un libro, un articolo stampato, persino un cruciverba. È un esercizio di presenza mentale;
- disattiva le notifiche: almeno quelle non urgenti. La vita non è un flusso continuo di interruzioni;
- fai attenzione ai segnali del corpo: se ti accorgi che il bagno sta diventando una zona di fuga dallo stress, forse il problema è altrove.
Siamo così abituati a riempire ogni spazio morto con uno schermo, da aver perso il valore del tempo vuoto. Anche quello apparentemente banale – come il tempo passato in bagno – può tornare ad avere una sua funzione. Un momento di disconnessione reale, di ascolto del corpo, di pausa mentale. Un tempo che non serve a produrre, né a consumare, ma semplicemente… ad essere.
Magari, la prossima volta, prova a lasciarlo sul comodino. E se proprio vuoi portarti qualcosa da leggere, beh… c’è sempre l’etichetta dello shampoo.