John Atcherley Dew ha 77 anni, è cardinale emerito dal 2023, e per partecipare al Conclave che segue la morte di papa Francesco ha affrontato oltre 30 ore di volo, attraversando tre scali intercontinentali. Dalla Nuova Zelanda a Roma, non proprio un viaggio agevole, soprattutto alla sua età. Ma, e questo è il punto, nemmeno un gesto scontato.
Classe 1948, Dew ha alle spalle decenni di servizio pastorale. È stato missionario nelle Isole Cook, presidente della Conferenza Episcopale neozelandese e della FCBCO, la federazione che riunisce i vescovi dell’Oceania. Ma non è solo il curriculum a colpire. È l’approccio: pastorale, concreto, vicino alla gente.
Non a caso, le sue posizioni non sempre allineate con l’ortodossia più rigida — come l’apertura all’Eucaristia per i divorziati risposati — lo hanno reso una figura autorevole per molti e scomoda per altri. Il suo nome non compare tra i “papabili”, ma la sua presenza ha un valore simbolico e strategico che va ben oltre il singolo voto espresso.
La nomina a cardinale nel 2015 da parte di Francesco non è stata casuale. Tra i due c’è una consonanza spirituale e culturale evidente: stessa attenzione per le periferie, stessa insistenza su una Chiesa che ascolta prima di giudicare.
Dew ha incarnato molte delle istanze del pontificato di Bergoglio, ed è per questo che la sua presenza al Conclave assume un significato profondo. È un segnale di continuità, ma anche di presenza attiva in un momento di transizione delicatissimo per la Chiesa.
Il suo è il viaggio più lungo per raggiungere Roma. Ma è proprio questa distanza che rende il suo gesto straordinario. Perché decidere di affrontare ore e ore di volo nonostante l’età avanzata, per essere lì, nel momento in cui si elegge un nuovo papa, non è solo dovere. È una scelta consapevole di testimonianza.
Un atto che ci ricorda che la Chiesa è davvero universale solo quando è capace di mettere al centro anche chi viene da lontano. Non solo geograficamente, ma anche per approccio, visione, esperienza.
Il cardinale Dew non è un rivoluzionario, ma un uomo che cerca di coniugare la tradizione con la realtà delle persone. Non a caso, alcune sue posizioni hanno suscitato resistenze nei settori più conservatori della Curia. Ma è proprio in questo suo equilibrio tra fedeltà e innovazione che risiede il suo valore.
In tempi di polarizzazione interna, la sua figura rappresenta una terza via: quella della pastorale come strumento di riconciliazione, non di contrapposizione.
Non sarà tra i nomi caldi per la tiara papale, ma il cardinale Dew porta con sé la voce di un intero continente, spesso ignorato nelle dinamiche vaticane. La sua presenza al Conclave è un promemoria: la cattolicità è una rete viva e pulsante, non un concetto astratto.
E nel momento in cui si sceglierà il nuovo pontefice, anche quel voto arrivato dopo tre aerei e trenta ore di volo avrà il suo peso. Perché, in fondo, esserci in certi momenti non è solo una questione di protocollo, ma di coscienza.
Il viaggio del cardinale Dew è molto di più di una trasferta. È una dichiarazione silenziosa ma incisiva sul senso del servizio, sull’importanza della testimonianza, sull’urgenza della presenza.
In un mondo che ci abitua a scegliere sempre la via più comoda, che molto spesso, coincide con il “non partecipare”, il suo gesto è un atto controcorrente. E forse anche per questo è così potente. Un modo per ricordarci che ci sono distanze che si colmano solo con la fede. E che certe presenze, anche se non fanno rumore, sanno lasciare il segno.