Quando il Consorzio di Tutela del Grana Padano venne istituito nel 1954, nessuno poteva immaginare che quel modello di protezione collettiva sarebbe diventato uno dei casi di successo più solidi del made in Italy agroalimentare. Eppure, eccoci qui: settant’anni dopo, il Consorzio non è solo il custode di una denominazione d’origine protetta, ma un attore economico strategico. Opera come una centrale operativa capace di coordinare oltre 135 caseifici, garantendo standard elevati di qualità, tracciabilità, sicurezza alimentare e compliance normativa. Ma soprattutto, parla il linguaggio del futuro: internazionalizzazione, sostenibilità, brand equity.
E no, non è solo retorica: sono strategie documentate, misurabili, con un ritorno concreto sul sistema produttivo. Nel 2024 si sono prodotte 5.635.000 forme di Grana Padano, con un incremento del +3,2% rispetto all’anno precedente. Una progressione costante, non episodica. Ma è il dato sull’export che merita una riflessione più approfondita: oltre il 51,2% della produzione è destinata ai mercati esteri, a testimonianza di un posizionamento ormai maturo, consolidato, capace di competere ad armi pari nei mercati a maggiore valore aggiunto, come Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Canada.
E attenzione: non si tratta solo di volumi. Le quotazioni all’ingrosso hanno raggiunto livelli record, segno che la domanda internazionale premia la qualità percepita, non il prezzo più basso. Un segnale importante in un momento in cui molte filiere agroalimentari faticano a spuntare marginalità decenti.
Il Grana Padano è, a tutti gli effetti, un prodotto identitario. E come tutti i prodotti identitari ha un legame fortissimo con il suo territorio. Viene realizzato esclusivamente con latte crudo proveniente da stalle situate nella zona Dop (Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino-Alto Adige e una parte di Emilia). Solo nel 2024, oltre 2,9 milioni di tonnellate di latte sono state trasformate, con una resa produttiva ottimizzata grazie al miglioramento genetico, all’innovazione zootecnica e all’integrazione verticale della filiera.
Tutto è normato, tutto è tracciabile. E non lo dico per enfatizzare l’attività del Consorzio, ma perché nella pratica significa trasparenza verso il consumatore e controllo dei rischi per gli operatori. È un modello vincente, perché mette insieme artigianalità e industria, tradizione e tecnologia, piccolo produttore e grande distribuzione.
Il Consorzio del Grana Padano non si limita a produrre. Investe. Comunica. Pianifica. Solo nel 2024 ha destinato 47 milioni di euro alla promozione, e nel 2025 il budget salirà a 53 milioni, ripartiti tra Italia ed estero. Una cifra importante, certo, ma coerente con una strategia di brand positioning globale.
Parliamoci chiaro: nel mercato food contemporaneo non vince solo chi fa il prodotto migliore, ma chi sa raccontarlo meglio. E il Grana Padano lo racconta benissimo: identità territoriale, valori nutrizionali, versatilità in cucina, sostenibilità ambientale. Ogni campagna è costruita per rafforzare la reputazione del brand e generare un legame emotivo con il consumatore. Una logica simile a quella di un’azienda tech o di un marchio fashion. Con la differenza che qui, il prodotto è reale, e buono ed è riconosciuto da un disciplinare Dop.
Uno dei fronti più delicati, in questi momenti, è quello del commercio con gli Stati Uniti. Il Grana Padano attualmente sconta un dazio del 15%, ma il rischio concreto è che si torni ad un incremento del +20%, sospeso per 90 giorni ma mai definitivamente archiviato. In quel caso, il prezzo al dettaglio negli USA potrebbe superare i 6 euro al chilo, un ostacolo oggettivo per la competitività del prodotto.
Il Consorzio ha lanciato un appello al governo italiano affinché la Premier Meloni, in visita negli States, faccia pressione per una soluzione strutturale. Se i dazi fossero confermati, il sistema Grana Padano rischierebbe un danno economico potenziale vicino ai 100 milioni di euro all’anno. Una cifra che metterebbe in crisi l’intero comparto export verso il Nord America.
Ci si dimentica spesso che dietro una Dop c’è un’economia reale fatta di lavoro, investimenti, sostenibilità e coesione sociale. Il Grana Padano rappresenta un pezzo rilevante del Pil agroalimentare italiano, ma è anche un presidio del territorio. Mantiene vive le comunità rurali, valorizza le competenze locali, genera reddito distribuito in aree non metropolitane, rafforza il tessuto imprenditoriale diffuso.
E poi, diciamolo: in un Paese come il nostro, dove troppo spesso si cede al fatalismo e si fatica a pianificare nel lungo periodo, una filiera capace di produrre valore stabile, crescente e tracciabile è un modello da studiare, replicare, proteggere.
Il 2024 sarà ricordato come l’anno in cui il Grana Padano ha superato se stesso. Ma è anche l’anno in cui si è capito che l’eccellenza non è un punto di arrivo, ma un processo continuo. Un percorso fatto di scelte lungimiranti, governance solida, valorizzazione della filiera e capacità di adattamento ai mercati globali.
Il Grana Padano è una metafora perfetta dell’Italia migliore: quella che non si accontenta di vivere di rendita, che guarda avanti, che sa innovare senza snaturare. E che crede che il futuro non sia un luogo da temere, ma un orizzonte da costruire, giorno dopo giorno, forma dopo forma.
Assaggiarlo è un’esperienza, ma capirne la storia e i meccanismi è un atto di consapevolezza. Perché ogni prodotto ha un prezzo, ma solo pochi hanno un valore. E il Grana Padano, oggi più che mai, di valore ne ha da vendere.