E così, quella rapida occhiata diventa un’ora abbondante trascorsa a saltare da un articolo all’altro, seguendo link che si trasformano in sentieri laterali, deviazioni, connessioni inaspettate. E no, non è tempo perso, mai! È semplicemente un altro modo — profondamente umano — di fare esperienza del sapere.
In fondo, Wikipedia è il riflesso digitale del nostro modo di pensare. Una mappa cognitiva non lineare, fatta di interconnessioni, rimandi, sovrapposizioni. E proprio da questa intuizione parte uno studio interessantissimo della University of Pennsylvania, che ha classificato gli utenti di Wikipedia in tre tipologie fondamentali: i Danzatori, i Ficcanaso, i Cacciatori e, no, non sono soprannomi scelti a caso: sono profili cognitivi, modelli della nostra relazione con la conoscenza:
- I Danzatori (Dancers): sono esploratori creativi, capaci di muoversi tra gli argomenti con grazia interdisciplinare. Leggono un articolo sulla meccanica quantistica e, senza soluzione di continuità, passano alla storia del Bauhaus. Il loro stile è fluido, laterale, connesso. Un po’ come l’intelligenza associativa che sta alla base di molti processi creativi.
- I Ficcanaso (Busybody): rappresentano quella frenesia cognitiva tipica di chi è costantemente attratto dal “nuovo”, senza una direzione precisa. È la versione digitale dello zapping mentale: un salto continuo da una pagina all’altra, seguendo il puro istinto. Sono gli emblemi del cosiddetto “Wiki Rabbit Hole”, l’effetto tana del Bianconiglio che ti porta sempre più giù nel labirinto della conoscenza.
- I Cacciatori (Hunters): razionali, sistematici, obiettivi. Entrano su Wikipedia con un preciso scopo informativo e lo perseguono con metodo. Sono gli utenti che usano l’enciclopedia per definire contorni chiari attorno a un problema, cercare una data, validare un’informazione. Per certi versi, sono i più “efficienti”.
E qui apro una parentesi personale. Confesso che, più di una volta, sono partito alla ricerca di un’informazione tecnica per poi ritrovarmi, con grande sorpresa, a leggere un approfondimento sull’origine etimologica della parola “algoritmo”. In quei momenti, ti accorgi che la mente non ragiona per compartimenti stagni: crea ponti, aggancia riferimenti, costruisce una narrazione interna che va ben oltre la ricerca iniziale.
E, se vogliamo dirla tutta, è proprio in quella divagazione controllata che si nasconde il vero apprendimento. Non il nozionismo da quiz, ma il pensiero critico, l’associazione libera, il sapere costruito per immersione.
Il comportamento da ficcanaso, tanto bistrattato, è in realtà la forma più genuina di apprendimento informale. Un modo per coltivare il pensiero divergente, allenare la flessibilità mentale, stimolare la multidisciplinarietà. Chi lavora nel digital marketing o nel content design sa bene quanto questo tipo di curiosità possa fare la differenza in un brainstorming, nella scrittura di un piano editoriale o nella generazione di idee per campagne innovative.
In altri termini, la curiosità non è un vezzo: è uno skill cognitivo.
Dall’altra parte della barricata ci sono i cacciatori, quelli che si muovono con logica cartesiana nel labirinto della conoscenza. Ne conosco parecchi, e ammetto che spesso invidio la loro capacità di rimanere focalizzati su un obiettivo senza farsi distrarre. Quando si lavora su progetti editoriali guidati dai dati, o si devono redigere report strategici, l’approccio da “hunter/cacciatore” è semplicemente imprescindibile.
Non è solo una questione di metodo: è proprio una forma mentis, una lente cognitiva che filtra il rumore informativo per estrarre soltanto il segnale utile.
Lo studio della University of Pennsylvania ha messo in luce anche una correlazione sottile ma fondamentale: il modo in cui navighiamo su Wikipedia risente del nostro background culturale. Nei Paesi con maggiore equità di genere e migliori livelli educativi, gli utenti tendono a “danzare” di più. In quelli con un accesso più limitato all’istruzione, prevale la ricerca finalizzata.
Questa osservazione suggerisce qualcosa di molto interessante: la libertà cognitiva è anche il prodotto di un ecosistema culturale. Dove c’è spazio per esplorare, la mente si concede il lusso di divagare. Dove manca, prevale l’orientamento al risultato.
Ed è qui, come ho accennato nel titolo, che entra in gioco l’Intelligenza Artificiale, perché comprendere i nostri stili di navigazione significa anche addestrare modelli predittivi più sofisticati, capaci di adattarsi alle diverse esigenze informative degli utenti.
Immagina una “IA danzatrice” che ti propone contenuti correlati con logiche associative, oppure una “IA cacciatrice” che va dritta al punto, rispondendo con precisione chirurgica alla tua domanda. Ecco, il futuro della personalized UX passa anche da qui: da sistemi adattivi che non si limitano a suggerire, ma comprendono le sfumature cognitive di chi interagisce con loro.
Forse è questo il punto più interessante di tutta la riflessione: Wikipedia è, nel suo piccolo, uno specchio della nostra mente. Osservare come navighiamo su quella piattaforma significa osservare noi stessi. Le nostre ansie informative, le nostre traiettorie mentali, i nostri slanci di curiosità e le nostre zone di comfort.
E se provassimo a fare un piccolo esperimento di meta-cognizione? La prossima volta che clicchi su un link apparentemente secondario, chiediti: “perché mi interessa questo?”. Ti sorprenderà scoprire che, in fondo, ogni scelta informativa parla un po’ di te.
E… c’è un filo che unisce tutte queste riflessioni: la consapevolezza che la conoscenza non è mai lineare. È fatta di deviazioni, intuizioni, connessioni impreviste, è una danza tra logica e immaginazione, tra struttura e caos.
Che tu sia un danzatore, un ficcanaso o un cacciatore, poco importa. L’importante è continuare ad esplorare. Perché, come scriveva Calvino, “il sapere non è mai finito, ma sempre da ricominciare”.
E tu, alla fine di questo articolo, hai capito che utente Wikipedia sei?