L’attuale contesto economico impone una riflessione: il cliente non cerca più un semplice “esecutore fiscale”, ma un consulente di fiducia, un professionista capace di orientare decisioni, prevenire criticità, proporre strategie. Questo cambio di prospettiva ha un impatto diretto non solo sulla relazione professionale, ma anche sulla struttura della parcella, non più generica, né ancorata al tempo impiegato, ma fondata sul valore erogato.
Nel mercato contemporaneo, l’improvvisazione tariffaria non regge più. Cresce la richiesta di chiarezza ex ante: preventivi scritti, obiettivi dichiarati, compensi legati a criteri oggettivi. Non si tratta solo di una questione economica, ma di cultura del servizio. Il “pricing” diventa parte integrante dell’identità dello studio e incide sulla fidelizzazione del cliente. Perché, diciamolo, la fiducia non nasce solo dalla competenza, ma anche dalla prevedibilità del rapporto professionale.
In questo scenario, il contratto scritto, anche quando non obbligatorio, si sta affermando come uno standard virtuoso. Definisce ambiti, impegni reciproci, e consente di articolare offerte modulari: tariffe a valore, forfettarie, a performance o su base ricorrente. Il tutto in una logica di sostenibilità economica condivisa.
Parallelamente, il fattore tecnologico sta riscrivendo le regole del gioco. L’intelligenza artificiale – che piaccia o meno – non è più una suggestione da convegno, ma una componente operativa concreta. La ricerca internazionale Future Ready Accountant condotta da Wolters Kluwer lo conferma: gli studi che adottano l’AI ottengono guadagni di efficienza rilevanti, ma soprattutto aprono la strada a nuovi modelli di servizio.
Il punto è proprio questo: se l’AI automatizza l’operativo, il tempo liberato deve essere reinvestito in attività ad alto valore aggiunto. Analisi predittiva, consulenza fiscale evoluta, gestione della liquidità, controllo di gestione: sono queste le nuove frontiere su cui costruire la proposta di valore. E quindi, anche la relativa struttura di “pricing”.
Il tradizionale “modello a ore” sta mostrando tutti i suoi limiti. È poco scalabile, si adatta male a servizi continuativi e, soprattutto, non comunica il reale impatto della prestazione. Si stanno quindi diffondendo modelli alternativi:
- Abbonamento mensile o annuale, adatto a microimprese e professionisti con bisogni ricorrenti;
- Pricing a valore, centrato sul beneficio per il cliente, non sul tempo investito;
- Compensi legati a obiettivi, per progetti di consulenza con metriche chiare;
- Pacchetti modulari, per una personalizzazione scalabile del servizio.
Queste formule non solo migliorano la relazione cliente-professionista, ma stabilizzano i flussi di cassa degli studi, aprendo la strada ad una pianificazione interna più solida.
In Italia il cambiamento avanza a velocità irregolare. La spinta verso una maggiore trasparenza c’è, ma sconta ancora forti resistenze culturali, sia dal lato degli studi che da quello dei clienti. Molti imprenditori fanno fatica ad accettare il concetto di consulenza continuativa, soprattutto quando il valore non è immediatamente tangibile.
Ma qualcosa si muove. Gli studi più giovani e digitalizzati stanno spingendo per un posizionamento più chiaro, con proposte “chiavi in mano”, sistemi di CRM evoluti e strumenti predittivi. È qui che si costruisce il futuro della professione.
In definitiva, ciò che serve non è solo aggiornare il listino, ma ripensare il modello di relazione col cliente. Se il commercialista vuole essere percepito come un vero “advisor”, deve uscire dalla logica prestazionale e costruire un’offerta coerente con il nuovo ruolo che il mercato gli attribuisce.
Non è solo una questione di strumenti o formule. È un cambiamento di paradigma. E come ogni cambiamento profondo, richiede metodo, coraggio e visione.