Papa Francesco è morto. E il giorno in cui accade – un giorno santo, carico di mistero e significato – non sembra una coincidenza. Se ne va in punta di piedi, con la discrezione dei grandi, lasciando dietro di sé una scia profonda di gesti, parole e umanità che resteranno nella storia della Chiesa e nel cuore di milioni di persone.
Alle ore 9.45, il cardinale Kevin Farrell, camerlengo della Camera apostolica, ha annunciato da Casa Santa Marta la morte del Pontefice con queste parole:
Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la scomparsa del nostro Santo Padre Francesco. Alle 7:35 di questa mattina, il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. Tutta la sua vita è stata dedicata al servizio del Signore e della sua Chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio e amore universale, soprattutto a favore dei più poveri ed emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, affidiamo l’anima di Papa Francesco all’infinito amore misericordioso del Dio Uno e Trino.
È stato il Papa della gente, e non era solo un modo di dire. Jorge Mario Bergoglio, il primo pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo”, ha saputo incarnare fin dal primo istante un’altra idea di Chiesa: una Chiesa che abita le periferie, che parla la lingua semplice della strada, che non teme di sporcarsi le mani con la vita vera.
Lo ricordiamo nel suo primo affaccio dalla Loggia di San Pietro, con quel “buonasera” che ruppe il protocollo e aprì una nuova era. Lo ricordiamo soprattutto con il capo chino, mentre chiedeva al popolo di pregare per lui. Una scena mai vista prima. Un Papa che, prima di benedire, si fa benedire: un segnale forte, che diceva già tutto.
Francesco ha scosso gli equilibri, rifiutando gli orpelli del potere e riportando al centro il Vangelo vissuto. Ha parlato di misericordia, di perdono, di cura. Ha messo gli ultimi al primo posto, ha pianto con i migranti, ha abbracciato i malati senza paura, ha aperto porte che sembravano chiuse da secoli. Ha chiesto alla Chiesa di essere madre, non dogana.
Con lui, il papato è sceso dalle stanze dorate ed è tornato tra la gente. Non ha mai voluto essere un sovrano, ma un pastore. Non un principe, ma un parroco. E infatti era così che si presentava: come un curato di campagna, vicino alla terra, vicino ai cuori.
Impossibile dimenticare i suoi gesti di tenerezza: la carezza a un uomo malato, il bacio a un bambino che correva verso di lui, le lacrime sincere a Lampedusa. Piccoli segni che hanno avuto la forza di messaggi globali. Perché Francesco parlava con il corpo, con la presenza, con l’esempio. Più che predicare, testimoniava.
Il suo messaggio è stato spesso scomodo: ha parlato di giustizia sociale, ha criticato l’indifferenza, ha sfidato anche le logiche interne della Chiesa. Ma lo ha fatto sempre con l’animo di un padre, mai con quello di un giudice.
Ora, il mondo lo saluta con affetto e riconoscenza. Papa Francesco lascia un’eredità enorme: una Chiesa più aperta, più umana, più vicina. E lascia anche una lezione personale: si può essere autorevoli senza essere autoritari, si può essere semplici senza essere deboli.
È morto in un giorno santo. Come se la sua vita, sempre intrecciata con il mistero della fede, volesse concludersi con un ultimo, silenzioso segno. E forse lo è davvero. Perché in fondo, Papa Francesco è stato anche questo: un segno. E di certi segni, il mondo non si dimentica.